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sabato 18 gennaio 2014

Genova, il suicidio di Aurora e quel rinvio dell'operazione per diventare donna

«Addio Marzia. Ti voglio bene». Aurora non ha detto altro alla sua amica, prima di appoggiare il telefonino nella sua stanza e lanciarsi nel vuoto, dalla finestra.

Genova, un quartiere – quello di Borgoratti – scosso per la morte di una giovane di 22 anni.

 Morta suicida, dopo aver parlato mezz'ora al telefono con la sua migliore amica di sempre, Marzia. Che oggi si dispera e si interroga. Tante ipotesi, sulla natura di questo gesto estremo. All'inizio dell'anno Aurora aveva festeggiato il primo anniversario con il suo fidanzato.

 Subito dopo avevano litigato. «Ma capitava spesso, Aurora era impulsiva, ma era certa che la cosa si sarebbe risolta», racconta l'amica. Il segreto Anche quel segreto che Aurora custodiva dentro di sé – e che aveva condiviso solo con gli amici più stretti e i parenti, che si battevano per proteggerla - non avrebbe giocato alcun ruolo in quella decisione. Un segreto scritto nei documenti, che raccontavano un'altra Aurora. Un'identità anagrafica che non sentiva essere più sua: per lo Stato era Luca, ma lei sapeva e sentiva di essere Aurora. «Aspettava ancora di essere sottoposta all'intervento chirurgico per la riassegnazione del genere", spiega una sua amica, con la quale aveva condiviso ansie e preoccupazioni per quel cammino.

 Quel nome, Luca, rappresentava il passato, forse non da rinnegare, ma comunque da «sovrascrivere». «Aurora era donna, si sentiva donna in tutto e per tutto», dicono all'unisono gli amici. A dicembre aveva dovuto fronteggiare una brutta notizia: i sanitari dell'ospedale con i quali aveva preso appuntamento per quell'intervento che era tutto per lei, una meta che era anche un punto di partenza per una nuova vita, le avevano comunicato che sarebbe stato rinviato di cinque mesi, da aprile a settembre.

 Ma lei era pronta ad aspettare pazientemente. Lei che all'età di 16 anni aveva iniziato il lento e difficile percorso per diventare ciò che sentiva di essere. «Non aveva alcun problema di accettazione – racconta Marzia, l'ultima a sentirla – era accettata da Genova e persino dalla gente del suo paesino di origine, tutta rispettosa verso la sua scelta». Era innamoratissima, faceva progetti dopo un anno di fidanzamento, i viaggi insieme al compagno, documentati con le foto sul suo profilo Facebook.

Sorridevano e si baciavano, si tenevano per mano e, qualche volta, avevano anche parlato di lasciare l'Italia. Sul suo profilo Twitter, Aurora aveva scritto una frase, che le aveva detto un amico: «Non te la prendere, sono fatti così. Devi solo credere che un giorno te ne andrai di qui» Forse uno sfogo. Erano Marzia e il fidanzato a rincuorarla, nei momenti più bui.

 Stava cercando un lavoro, ma non era facile, con quei documenti che raccontavano di un'altra persona. E così, gli amici, oggi, cercano delle risposte che sono destinati a non trovare. L'ultima telefonata «Era serena, scherzavamo del più e del meno – ricorda ancora Marzia – e quando mi ha detto 'addio' pensavo stesse scherzando. Insomma, nella chiacchierata non era emerso alcun elemento che potesse far pensare ad un gesto così estremo».

 Genova, la città “della graziosa” di via del Campo cantata da De André, l'ha salutata, sabato scorso, in un funerale nel corso del quale il papà ha definito Aurora tutto e il contrario di tutto: “era una ragazza fragile e forte allo stesso tempo”. Ma non è mancata la rabbia. Riversata su una pagina Facebook, a firma di un'altra amica di Aurora, Mariagrazia. Una rabbia che è anche un atto d'accusa verso la famiglia: «Quanta ipocrisia!

 E' semplice, dopo, scrivere lettere, farsi vedere disperati, venire al funerale, parlare, parlare...Pochi sanno la verità sulla solitudine, disperazione, sul valore e bellezza di Aurora. Lei ha sempre cercato di farsi amare, accettare, di trovare la sua dimensione vivibile. So, invece, che questo non è stato, soprattutto nell'ambito familiare. Il mondo fuori non ti schiaccia così se hai amore di fondo, un nido che ti protegge,sostegno affettivo. Ho pena per chi non ha fatto, per chi non ha goduto della ricchezza interiore di Aurora. A me è quello che rimane, l'ho amata come una figlia e lei mi ha dato tanta tenerezza, amore, risate, se stessa. Grazie Aurora mia».
  

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