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martedì 14 gennaio 2014

Ruby, Lele Mora in appello: "Ad Arcore immoralità e squallore, ma non reati

Nuovi aggiornamenti sul caso Ruby, nel quale Lele Mora è stato condannato a 7 anni, per induzione e favoreggiamento della prostituzione, anche minorile.

  Le serate nella villa di Arcore di Silvio Berlusconi potevano «presentare numerosi aspetti di immoralità e squallore» ma erano solo «la base e l'occasione di tutta una fase di conoscenza reciproca e di creazione di vincoli di simpatia o empatia fra le parti in gioco».

È un passaggio dell'atto, firmato dagli avvocati Maris e Avanzi, con cui Lele Mora chiede ai giudici d'appello di assolverlo. I legali dell'ex talent scout dei vip, gli avvocati Gianluca Maris e Nicola Avanzi, nell'atto di impugnazione di 39 pagine depositato ieri nella cancelleria della Corte d'Appello di Milano (ieri ha presentato appello anche Emilio Fede, condannato a 7 anni) chiedono in prima battuta ai giudici di «dichiarare la propria incompetenza ed ordinare la trasmissione degli atti al giudice di primo grado competente, individuato nel Tribunale di Monza».
Nel merito, invece, la difesa chiede l'assoluzione «perchè il fatto non sussiste o non costituisce reato». Secondo i difensori, infatti, la «nozione tecnico giuridica di prostituzione (...) non può ricomprendere i rapporti sessuali inseriti in una relazione personale specifica». La «serata ad Arcore», infatti, chiariscono i legali, «può presentare numerosi aspetti di immoralità e squallore ma è anche la base e l'occasione di tutta una fase di conoscenza reciproca e di creazione di vincoli di simpatia o empatia fra le parti in gioco».

Un passaggio che ricalca, tra l'altro, quanto aveva già sostenuto Mora in sede di dichiarazioni spontanee nel corso del processo, al termine del quale è stata anche condannata a 5 anni Nicole Minetti. L'attività di talent scout di Mora, secondo la difesa, riguardava certamente anche «l'occasione utile per le ambizioni, coltivate dalle sue clienti nel mondo dello spettacolo e della televisione, e fra queste, forse la più grande, è certamente quella di conoscere Silvio Berlusconi, di essere invitati ad una delle sue cene, di entrare in quel giro di favoriti».

Tuttavia, tutto quello che succedeva «dopo» tra l'ex premier e le ragazze, «il modo di offrirsi e di legarsi, di vivere l'occasione sono del tutto sganciati dall'elemento volitivo riguardante tale imputato». Berlusconi infatti, «giova ricordarlo, in quanto la sentenza pare averlo dimenticato, era, oltre che premier, il proprietario delle principali reti televisive e cinematografiche italiane».

 Tra l'altro, secondo la difesa, «approfondimenti e chiarimenti proverebbero, come è logico, che quel sistema prostitutivo di cui ci parla il Pm fosse già sussistente prima dei fatti in esame, come ugualmente già vi fossero analoghe feste presso le residenze dell'On. Berlusconi, ce lo dicono molte testi, lo disse la moglie dello stesso Berlusconi e lo hanno supposto altri procedimenti penali». E allora, proseguono i legali, «oggi come ieri si può dire che Mora non è mai stato uno degli attori nè uno dei protagonisti di detto sistema».

In subordine, la difesa chiede che l'accusa di induzione e favoreggiamento della prostituzione della minorenne Ruby venga riqualificata in «favoreggiamento personale ex art. 378 c.p., per avere in concreto aiutato il coimputato, l'On. Berlusconi, dopo che fu commesso il reato in esame, ad eludere le investigazioni della Autorità». Nell'atto, inoltre, la richiesta di «concedere», in caso di condanna, «le attenuanti generiche nella massima ampiezza» e di applicare la «continuazione» tra i reati a lui imputati per il caso Ruby e il patteggiamento a oltre 4 anni per la bancarotta della sua Lm Management.
  

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